La natura è grande nelle grandi cose, ma è grandissima nelle più piccole. [Bernardino da St. Pierre]
"IL PITTORE" di Silvano Maerini
Tela nel bianco mi poni bloccato,
ispirazione m'invade.
Quell'invisibile assume immagine.
Trasmetto emozione, immischio misteri,
nel giostrare pennelli creo colore mancante.
Camice imbrattato in quel miscuglio vivace,
rifletti l'Universo.
Volto impresso nel preciso,
perchè non parli?
Paesaggi incantati, tramontatI nel sole.
Io che dipingo e trasformo l'idea,
talvolta non credo nell'opera mia,
e incantato, la guardo.
S.M.
mentre il seme già freme
nell'impaziente attesa.
B.C.
NOTA DEL POETA: E' la lirica dell'unione profonda, connaturata, tra l'uomo del sud e la sua terra che da millenni, come fedeli amanti in una ruvida ma generosa carezza, si tracciano solchi e s'incidono rughe: dai primi freme la promessa del seme, dalle seconde si affaccia e canta la speranza, sempre in un inno di fiducia e d'amore. Bruno Coveli (poeta e pittore).
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I brani seguenti sono tratti dal libro di Luigi Di Dio: "Castigo, Pentimento e Speranza" - Illustrazioni di Pietro Tavani. Stampato in bozza nel 2002.
NOTE BIOGRAFICHE DELL'AUTORE
Luigi Di Dio nasce a Nettuno il 25/10/1953. E' sempre vissuto nella cittadina laziale esercitando varie professioni ed attività, spesso di natura precaria e di carattere non continuativo. Ottenuta la licenza media non ha proseguito gli studi, nonostante i buoni risultati di profitto a causa del suo carattere insofferente ed impulsivo.
In una scuola che a quei tempi non era abituata, come oggi, al recupero e all’educazione di tutti i tipi di personalità.
Questo non ha impedito però all’autore di formarsi una cultura personale e approfondire vari interessi tra cui il principale: quello artistico.
Attualmente frequenta l’Istituto d’Arte di Civitavecchia mostrando interesse e motivazione nel campo sia della pittura sia nel campo della letteratura producendo notevoli opere su tela e lavorando alla stesura stessa del libro in questione.
Sta seguendo una seria esperienza di fede attraverso l’ascolto di Catechesi per Adulti; è un “cammino” che lo sta aiutando a capire il senso della sua vita e dell’Amore di Dio.
Ha in mente in futuro di comporre un altro libro di analisi sulla società contemporanea e di trovare una occupazione legata al settore grafico – artistico – artigianale.
Luigi Di Dio
PRESENTAZIONI
Bisogna ammetterlo: è proprio un’emozione che spinge a cercare in sé stessi “l’uomo migliore”! Prima la sensazione, la sua suggestione; poi l’emozione che diviene pensiero, proposito di costruire per il futuro e si trasforma in una scelta di vita, voluta, sofferta, gradita, non subita.
Luigi Di Dio ha iniziato così il suo percorso alla ricerca dell’uomo migliore!
In questo libro c’è il percorso di vita di un uomo, che si intreccia con un cammino di fede.
Questi momenti si inseriscono in un’esperienza rieducativa, attuata in regime penitenziario. L’opportunità trattamentale, usualmente subita o strumentalizzata, si arricchisce e si personalizza.
È accettata attivamente, poi rivissuta nell’ottica migliore. È un percorso in itinere, ma è palpabile; passa dal senso di Dio per arrivare alla conquista consapevole del senso della vita.
È un percorso maturo attraverso la quotidianità, per riappropriarsi di quei valori già trattati con superficialità.
La forza della società, che rifiuta colui che ha tradito le sue regole, diviene “un momento per incontrarsi e conoscersi”.
Le parole del carcere e il suo mondo interno, fatto di solitudine, fanno il resto. Perché la vera, grande pena che il carcere infligge è la solitudine.
L’uomo, davvero solo, prova un’emozione fortissima.
E nel silenzio della solitudine può perdersi oppure ritrovarsi, spesso migliore, per non perdersi mai più.
Dott.sa SILVANA SERGI
(Direttrice C. di Reclusione di Civitavecchia)
L’autore Luigi Di Dio ci permette di penetrare, tramite la lettura delle sue poesie e delle sue riflessioni, nell’universo della sofferenza vera.
Con le sue parole scritte fotografa stati d’animo e trasmette emozioni in modo talmente efficace, da rendere chi legge partecipe a tutti gli effetti di quello che viene descritto nei versi.
Grazie al suo modo garbato e delicato nel presentare gli oggetti delle sue creazioni letterarie, riesce a colpire l’animo del lettore portandolo in un mondo da molti sconosciuto: il mondo della segregazione.
I suoi riferimenti a questo mondo sono appena cenni di vita in un altrove che ingigantisce ogni emozione. Le sue giornate offrono all’autore lo stimolo per rivedere il passato e per ricreare, attraverso un percorso di sofferenza, un uomo nuovo. Un Luigi diverso da quello di un tempo. Eppure grazie proprio a quel suo passato ed alla attuale sofferenza, egli riconosce di aver scoperto i valori: l’amore, la famiglia, i figli, l’amata moglie, l’onestà.
“Quella piccola manina accarezzava la mia barba…” egli dice riferendosi ad uno dei suoi figli che non ha saputo amare nel modo giusto allora “…vorrei tornare indietro, portarlo in un bel parco, in un bosco o in riva al mare”.
“Fermo sul pontile della vita, io osservo il mare del mio futuro incerto… la barca giace capovolta a terra; tempo ci vuole per riportarla in acqua, sperando torni presto la bonaccia”.
Nel descrivere le lunghe ore passate a ricostruire il passato e se stesso, il poeta non usa mai toni aggressivi, non attribuisce ad altri responsabilità che gli appartengono e questo rende ancora più umana la sua introspezione, e più vera la sua richiesta di poter ricominciare.
Ringrazio l’autore per avermi dato la possibilità di leggere le sue splendide poesie.
Dott.sa SIMONETTA ROBIATI
(Docente di Psicologia)
Cattura per la sua schiettezza, per il suo pensiero elevato e appassionato, per la sua profondità e il suo ardore di sentimento “denso”.
È proprio il tono e l’anelito umanitario, che si evincono dalla sperimentazione letteraria, a dominare la dolorosa esperienza di vita.
Sollecita una tale espressione la scelta riservata al racconto, in prosa o in versi, di episodi e riflessioni metafisiche “veri”, offerti alla pietà o alla meraviglia di chi legge.
Si è condotti, quasi per mano, a ripensare e a meditare su una delle famose affermazioni di Oscar Wilde: « ogni uomo uccide la cosa che ama ». È commovente e persuasivo nella metamorfosi in cui rinnega e affoga l’uomo di un tempo.
Da reietto e punito riesce a comunicare una lezione di moralità e di fede ritrovata.
La personale concezione del dolore diviene mezzo di superamento dell’esorcizzato passato e raggiungimento di ciò che lega intimamente e misteriosamente la sostanza individuale alle ragioni universali dell’essere.
Così la riflessione scritta diviene luogo e momento etico, prima ancora che estetico o letterario, espressione della necessità d’una tormentosa ricerca, attraverso il linguaggio, di un più elevato grado di coscienza e di conoscenza.
Prof. ROBERTA RISSO
(Insegnante di Italiano)
COMMENTI
C’è un viaggio in queste poesie nel mondo del dolore, della solitudine interiore, e di quella particolare amarezza che è la mancanza di libertà.
Eppure questo viaggio non comprende solo tristezza e lacrime ma si aprono squarci dove si intravedono albe e non tramonti, il soffrire non appare come una maledizione ma un dolore pacato, quasi dolce, dove l’autore ne trae una sapienza per una vita nuova, una riscoperta di ciò che sembrava ormai perduto.
Questa sapienza ha una logica della riscoperta della parola di Dio che è il riferimento continuo di chi crede in Lui e nella sua generosità.
In questa raccolta di poesie si intuisce e campeggia la figura di Cristo e si possono leggere come preghiere per maturare nella fede e nella speranza.
Don LUIGI CAROSI
(Cappellano C. di Reclusione di Civitavecchia)
Il vero pentimento è cosa diversa dal significato che assume questo termine per tanti; per pentirsi davvero non conta accusare gli altri, ma occorre un esame di coscienza che conduca a riconoscere il male compiuto, puntando innanzitutto il dito contro se stessi ed è quanto fa l’autore.
Amico, fratello in Cristo e compagno di sventura.
DOMENICO DISTICO
(Detenuto)
PREFAZIONE
Non è facile fare una prefazione ad una raccolta di questo tipo, sia perché il testo esula da qualunque schematismo letterario, sia per l’estrema valenza personale che esso ha assunto nella mia esperienza professionale di insegnante nelle istituzioni carcerarie.
La tematica affrontata dal testo, al di là di un’apparente frammentarietà, è abbastanza delicata e frutto di un’esperienza personale drammatica del protagonista che ha trovato nella disperazione della condizione carceraria, la spinta vitale di operare una riflessione morale e psicologica di notevole entità e profondità.
I testi, quindi sono frutto di un vissuto reale estremamente difficoltoso e travagliato e l’autore ha trovato la forza di mettere in discussione se stesso ed il proprio io, portandolo a recuperare valori ed emozioni vere, nonché affetti e sentimenti profondi tra i quali, la fede religiosa. Essa si configura non nelle forme tradizionali, ma più che altro in un sentimento emotivo profondo di ricerca continua di un senso di appartenenza di un mondo in divenire e, nello stesso tempo, imperativo morale di una visione della vita che, eliminando l’effimero ed il superfluo, punta sul sostanziale ed autentico scopo di essa. In questo contesto, valori quali l’amore, la famiglia, l’affetto, l’amicizia sono ricollocati in una dimensione umana e vissuta come punto di arrivo di un percorso travagliato e tortuoso e non su valori astratti e formali della cultura e mentalità dominanti.
Il pentimento, il bilancio essenziale, l’autoanalisi, sono i motivi principali del percorso dell’autore e sono nello stesso tempo la forza vitale della speranza che gli permette di guardare con ottimismo al futuro. L’autore ha saputo trasformare l’esperienza negativa della reclusione in un momento di crescita umana e spirituale, di rinascita a nuova vita come lui stesso ci dice spesso, di forza morale esplosiva e rigenerante.
Il linguaggio e lo stile essenziale, scarno, antiletterario non escludono al nostro di affrontare tematiche tipiche dell’universo poetico di ogni età ed epoca storica, di un patrimonio culturale entrato ormai nel nostro vissuto.
Prof. CARLO GAROSI
PREMESSA DELL'AUTORE
Come già scrisse il poeta Rilke nei suoi quaderni (Malte L. Brigge) prima di parlare o discutere sulle ragioni della poesia, bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza e, poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide.
Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente); sono esperienze.
Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino.
Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia con qualcun altro). Bisogna saper ripensare, quando, con la stessa incomprensione, si è lasciati vivere mogli e figli abbandonati a loro stessi nel dolore e nella sofferenza per colpa del nostro egoismo; ripensare ad amori, affetti, emozioni ed attimi felici di vita perduti, senza aver la speranza di poterli ritrovare, a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante e gravi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare soprattutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle, e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo.
Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna esser rimasti seduti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti.
E non basta ancora avere dei ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Di fronte a questa premessa, di infinite esperienze sopracitate, nonostante io abbia vissuto molte di esse, non sono abbastanza per potermi sentire un poeta che possiede tutta quell’essenza di vita e tutta quella dolcezza necessarie per poter scrivere i versi di “Malte L. Brigge”.
Anche le mie poesie e riflessioni sono frutto di cinquanta anni di esperienza che si concentrano incrociandosi e rifondendosi in un percorso nel dolore e nella sofferenza, provati in un momento particolare della mia vita “forse anche eccezionale” dove i ricordi sono tornati anonimi, non più distinguibili sentendoli sangue e corpo di me stesso, scaturiti in questi scritti che ho voluto raccogliere in un volume, non per vanità o per dimostrare qualche virtù nello scrivere belle parole e toccanti frasi; “né dico” per liberare la mia coscienza dal rimorso (perché essa ne rimarrà prigioniera per sempre), ma almeno per alleggerirla attraverso un dichiarato sincero pentimento delle sue colpe.
In questo mio particolare momento di sofferenza, proprio quando credevo di essere precipitato nel baratro terminale della mia esistenza, proprio quando la mia mente era circondata dal buio, proprio quando credevo di essermi perso per sempre, un lampo di luce mi ha indicato una nuova via da percorrere. All’inizio di questa via c’era un cartello con su scritto “fede in Dio”; da quando mi sono incamminato in essa, ad ogni passo incontro il fantasma di me stesso che mi fa rivivere “attraverso il rimorso della mia coscienza”, tutti i miei anni passati perseverando nell’errore, vagando senza méta fino all’orlo del mio precipizio. Spero di coinvolgere e rendere partecipe il mio prossimo che leggerà questo libro, per dargli modo di riflettere sulla mia esperienza, soffermandosi in un confronto personale fra ciò che leggerà e la propria coscienza, con l’auspicio e la speranza che i più riusciranno a distinguere, riconoscere ed incamminarsi anche loro, lungo la mia medesima via, la quale inevitabilmente conduce a ritrovare se stessi nel cammino verso Dio.
“LA LIBERTA' DI UN FIORE TRA LE ROCCE”
Non tutti i fiori nascono
in un bel giardino,
non tutti i fiori
hanno la compagnia
della loro farfalla,
ma non per questo
non sono da considerarsi
fiori nel pieno
del loro essere
perché
come il loro fratelli,
hanno anch’essi
tutto il loro colore,
il loro profumo,
la loro bellezza
ma con una differenza:
hanno in più la libertà
di non avere
nessun giardiniere
che può a suo piacere
reciderli e farli appassire
pian piano in un bel vaso pregiato,
godendone passivamente
per la loro morte lenta.
FRA LE PAGINE DI QUESTO LIBRO SONO INSERITE ALCUNE GRAFICHE DI PIETRO TAVANI ABBINATE AI TESTI
(Nella presentazione del libro, i commenti riportati sotto alle mie immagini sono di Mons. Girolamo Grillo, Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia).
PASQUA 2003 (Osservazioni sul libro da parte del Vescovo Mons. Girolamo Grillo)
Carissimo Luigi,
preferisco rivolgermi a te con autografo per ringraziarti del tuo "Castigo, pentimento, speranza".
Dapprima ho letto d'un fiato, come suol dirsi, le tue liriche ed i tuoi pensieri ricchissimi di "pathos", di sentimento, di emozione, di commozione e di lacrime. Poi ho ripreso tra le mani il libro ed ho dato inizio ad una lunga, intensa meditazione giornaliera.
La tua vita sembra proprio una fiaba che "va vissuta dal primo fino all'ultimo giorno". In molte liriche, non ti nascondo, ho ritrovato me stesso: l'essere uomo con le proprie miserie, condividendo con te che " la pagina più bella d'un libro è quella sulla quale è caduta una lacrima". Stupende ho trovato le tue riflessioni sul perdono e sulla speranza.
Non ti è mancata neppure l'idea di intercalare i tuoi pensieri con disegni di Pietro Tavani, che, quali penetranti icone bizantine e misteriose, invitano a cercare di calarci nel tuo cuore di uomo ricostruito dall'Amore di un Dio che ha fatto irruzione nella tua anima.
+ Mons. Girolamo Grillo Vescovo della Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, 2003
[Che angoscia, che angustia, che ansia, che sofferenza, che tormento!] + G.G. Vescovo
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“NAUFRAGO DELLA TEMPESTA DELLA VITA”
Nell’oceano
naufrago nella tempesta,
lotto, nuoto,
nuoto e lotto
contro
vortici di vento
e gigantesche onde.
La mia forza
d’abile nuotatore
e conoscitore del mare
mi tiene
ancora in vita.
Nei momenti
d’estremo esaurimento
delle forze
mi aggrappo al tronco
della speranza,
speranza che
prima d’annegare
possa io
scorgere
e toccare terra.
[L'empatia e il disinteresse di chi ci sta vicino, l'insensibilità, la freddezza dei volti, la noncuranza degli estranei alla nostra vicenda!] + G.G. Vescovo
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“BAMBINI DA SALVARE: UNO SGUARDO SUI DIRITTI DEI MINORI”
È molto importante avere lo sguardo e l’attenzione sui diritti dei minori dislocati in tutto il pianeta, ma lo sguardo verso problemi come la fame, l’ingiustizia, l’impotenza di fronte agli abusi, alle torture fisiche e allo sfruttamento deve essere reale, personale e diretto non visto attraverso l’obiettivo virtuale e distorto degli occhi altrui, delle telecamere e delle informazioni manipolate, opportunistiche e strumentalizzanti dei mass-media. Ognuno di noi deve aiutare a difendersi dagli abusi e dalla mancanza di diritti: prima di tutto chi gli sta più vicino, per la strada, sul posto di lavoro, nella famiglia stessa e poi, se ne hanno la possibilità e i mezzi, ben vengano gli atti di solidarietà, di beneficenza attraverso associazioni dedite a questo scopo. Per bambino s’intende una persona indifesa, incapace di difendersi da sola perché minore e debole. Anche tutte le minoranze, gli emarginati, gli esclusi, i diversi, i carcerati, i malati, i poveri sono minori e deboli e, come i bambini vanno protetti difesi e aiutati. Ma la cosa più importante e necessaria è che si dia subito inizio, con un’inversione ad una ricerca delle verità di quali siano i veri motivi che hanno provocato questo stato di cose per interrompere, intervenendo radicalmente, questo moto perpetuo che si è innescato da millenni e che crea i presupposti affinché accadano. Chi governa e chi gestisce la giustizia per far rispettare i diritti di tutti è la società adulta che, purtroppo, è stata bambina anch’essa ed è cresciuta con l’insegnamento avuto da informazioni distorte, manipolate che le hanno fatto acquisire una cultura deviata dalla mancanza di verità sulla storia, sulla vita degli uomini e del mondo, scritta e raccontata dagli uomini stessi su di loro e sui fatti accaduti nel mondo in cui viviamo prigionieri senza diritto di verità e di libertà.
Rompere questo incantesimo significa dare ai nostri bambini, che fortunatamente non hanno problemi di fame, di sopravvivenza e d’abusi vari, una nutrizione costante e giornaliera, di diritto alla verità e non imporre loro modelli di vita sociale, che, a nostra volta, ci sono stati imposti affinché, quando tutti i nostri bambini, a rotazione, saranno società adulta e, quindi, in grado di poter gestire il potere e la giustizia, allora sarà loro senz’altro più facile risolvere i problemi che da millenni tutte le società ipocrite ed egoiste, passate e attuali, non hanno risolto e non risolveranno mai attraverso tutte le sigle di volontariato, beneficenza, solidarietà e difesa sui diritti dei minori e sui diritti umani.
Problema irrisolvibile perché suddette associazioni vengono fatte crescere e lievitare, facendole diventare parte integrante del potere stesso dell’attuale società ipocrita e falsa moralista, strumentalizzatrice di tutto ciò che, nel nome del bene, del diritto e della libertà, viene fondato capovolgendone a suo favore e interesse lo scopo benefico iniziale.
Chi più di tutti ha bisogno d’essere aiutato, sono i nostri stessi figli che non avendo bisogno di niente perché gli viene procurato tutto senza far capire loro l’importanza della conquista di qualsiasi beneficio, benessere o piacere, si ritrovano a vent’anni colmi di vuoto. Riempiamo questo vuoto sin dall’inizio della loro vita, colmiamolo di verità. Iniziamo già dalla falsa storia “che il lupo è cattivo” e che bisogna a tutti i costi star lontano da lui, che bisogna distruggerlo o isolarlo. Questa mancata e distorta verità imponendo la paura, crea i presupposti per allontanarsi sempre di più da un dialogo sereno e cordiale; anche il lupo potrebbe capire il motivo perché gli altri si comportano in quel modo con lui. Diciamo la verità ai nostri bambini, spieghiamo loro che se il lupo avesse un suo habitat dove vivere tranquillo in armonia con la natura e non dovesse uscire affamato dalla sua tana per procurarsi il cibo quando fa freddo, non rischierebbe mai con tutta la sua rabbia di scendere fino al paese per trovare cibo per lui e per i suoi piccoli indifesi lupacchiotti che, in tali condizioni, sono stati privati del diritto di vivere; i lupacchiotti crescendo con l’esempio dei genitori impareranno a loro volta a comportarsi così. Salviamo i nostri figli dal falso modello del benessere e dal consumismo; dobbiamo avere il coraggio di dire loro di dimenticare tutto ciò che è incoerente, contraddittorio e inaffidabile, di non prendere come principi, valori buoni e indiscutibili, quanto scritto sui libri di storia ma dare loro la possibilità, conoscendo la verità, di riscrivere la storia attraverso le loro reali esperienze, rivalorizzando così la loro esistenza secondo verità e dando dignità così anche a tutte le minoranze deboli e indifese, riconoscendo alla natura stessa i suoi diritti e le sue verità, ridando inizio ad una nuova era, ad un mondo nuovo, ad una nuova cultura: la cultura della verità, del rispetto, del diritto e della libertà. Se veramente vogliamo essere onesti con noi stessi, con i nostri figli e con il prossimo e non vogliamo essere ipocriti ed egoisti come la società attuale, difendiamo noi i nostri figli e chiunque ne abbia bisogno dalla menzogna e dalle nostre mezze verità, diritto principale di ogni creatura di questo mondo. Nascondendo la verità, portiamo tutto a snaturarsi e avvelenarsi, trasformando le menti, gli animi e l’ecosistema stesso formatosi nel mondo attuale.
Gli emarginati, gli esclusi, i diversi, i poveri, i carcerati non sono lupi e nessun lupo nasce veramente cattivo.
[Che nasce dal dolore vissuto!] + G.G. Vescovo
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“ESSERE UOMO”
Ogni uomo per essere tale
deve avere la capacità e la forza
di difendere sempre il suo essere
rinunciando a qualsiasi avere.
[Rivedo la luce sui tuoi occhi che erano spenti!] + G.G. Vescovo
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“IL PERDONO”
Il perdono si chiede concedendolo.
Ogni essere ha ricevuto da Dio un’arma naturale per difendersi, un’arma che gli permette di salvaguardare il suo essere e di far sopravvivere la propria specie.
Agli animali ha donato i sensi più sviluppati e l’istinto naturale, all’uomo ha donato la ragione, il buon senso ed il perdono. Quest’arma spirituale ha la potenza, se usata nel modo dovuto, di renderci sempre più simili a Dio. È un’arma di cui Dio ci ha dotato tutti indistintamente affinché potessimo averne la stessa possibilità di servircene per difenderci ad armi pari.
Ma per usare questo potenziale spirituale, affinché ci renda uomini più vicini e simili a Dio, bisogna saperlo utilizzare nel migliore dei modi e con tutti indistintamente, un uomo senza l’arma del perdono è un uomo fragile e indifeso, vittima degli altri e di se stesso; ogni uomo senza il perdono non può essere tale tanto meno può essere sembianza di Dio.
Dio è superiore agli uomini in questo; usa il perdono in modo completo e assoluto, senza distinzione, sempre e verso chiunque. È evidente che Dio ci tiene ad essere il nostro Dio, di cui siamo ad immagine e somiglianza; meglio di Lui, infatti, nessuno sa usare il perdono. La differenza fra la potenza di Dio e quella dell’ultimo uomo della terra è data dall’uso di questa umile arma. Per essere simili a Dio, come Lui ci vuole, bisogna saper perdonare sempre tutti, come Lui sa perdonare sempre. Il perdono si concede chiedendolo: Dio ci chiede e ci concede continuamente il Suo perdono attraverso gli uomini che pronunciano questa umile parola.
Ognuno di noi deve essere figliol prodigo per accettare ed essere accettato con il perdono degli uomini e di Dio.
[Ma c'è sempre Qualcuno che scende dal cavallo per darti una mano!] + Girolamo Grillo Vescovo
[Stile forte e iconico, tenero e austero al tempo stesso.] + Gianrico Ruzza Vescovo
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“TORNARE PRIMA POSSIBILE SULLA GIUSTA VIA”
Tornare indietro non si può,
si può soltanto cambiare direzione,
mezzo, andatura, compagni di viaggio
e prima si fa e meno ci si troverà smarriti
nella strada sbagliata.
[Che ci costringe a rannicchiarci come un orsacchiotto strappato dalle mani di un bambino!] + G.G. Vescovo
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“LA SPERANZA DÀ FIDUCIA A DIO VERSO GLI UOMINI COSÌ COME GLI UOMINI PRENDONO FIDUCIA IN DIO CON LA SPERANZA DELLA SUA ESISTENZA, CON LA QUALE LI SALVERÀ DALLA MORTE ETERNA DONANDO LORO UNA NUOVA VITA ETERNA IN UN MONDO SENZA PECCATO”
La speranza è quella forza spirituale che subentra nel momento che vengono a mancare le certezze, facendo da piedistallo di sostegno fisico e mentale, da propulsore che ti dà la forza e la spinta continua per intraprendere ed affrontare un percorso, un cammino, una strada, una situazione, per superare una sofferenza o una ricerca continua di un qualcosa, di un qualcuno, di uno stato d’animo, di una soluzione ai mille problemi della vita e del gran mistero oltre la vita; senza di lei nessun essere umano riuscirebbe ad affrontare il futuro che chiunque si prefiggerebbe come meta per il raggiungimento del suo desiderio iniziale. Senza quella gran carica e forza che ti dà la speranza, sarebbe sicuramente un ostacolo insuperabile prevarrendo la passività e la rinuncia assoluta verso qualsiasi reazione alla positività dell’essere, all’energia vitale e spirituale della progressione umana verso la completezza e la perfezione dello scopo primario per cui ogni essere è stato progettato, creato e programmato per l’immenso disegno divino.
Ci sono piccole e grandi e immense speranze; ogni situazione ne determina il valore più o meno grande a seconda della percentuale di probabilità che accada l’avvenimento desiderato e il valore del desiderio per se stesso e in se stesso. Comunque sia la speranza è vitale, molto significativo però è il ruolo dello spirito nel dettare continuamente una meta, un desiderio diverso, un nuovo scopo di vita per dare alla speranza la possibilità di sopravvivere suscitando in noi nuovi stimoli per raggiungere il nuovo obiettivo che si viene a focalizzare nei nostri desideri.
Io credo che Dio stesso se non avesse avuto speranza e fiducia nell’umanità non avrebbe stabilito il programma del suo disegno divino confidando proprio nell’uomo da lui creato colmo di tutto se stesso. Questa speranza nei confronti dell’uomo è tale da portarlo alla fiducia di concedergli la completa libertà di azione nel costruire un suo mondo sia esteriore che interiore in cui trovi la giusta dimensione di armonia ed equilibrio dove possono convivere il bene e il male, il tutto e il nulla. Solo supponendo che Dio abbia avuto, fin dall’inizio, e abbia ancora speranza è spiegabile il perché non intervenga materialmente di persona e lascia a noi stessi la possibilità di riuscire in questa grandiosa impresa.
Nella direzione inversa, un’altra importante riflessione è da premettere sull’efficienza della speranza che deve riporre l’uomo nei confronti di Dio affinché questa base di sostegno, fune di aggancio, ponte d’attraversamento o in qualsiasi altro modo vogliamo definirla, possa essere utile e infinita, solo se subentra l’unica grande certezza assoluta della fede nell’esistenza di Dio. Quando alla speranza si dà quest’assoluta certezza non rimane altro che godersi la pace interiore nella grazia di Dio e vivere il piacere della vita facendosi sempre e comunque portatori caritatevoli di amore e perdono in qualsiasi posto, circostanza e stato d’animo veniamo a trovarci, gioioso o sofferente che sia.
Penso anche che la speranza non può avere una dimensione di tempo determinato che cammina in parallelo con la morte fisica, altrimenti, chiunque si trovasse in una fase terminale della sua vita vivrebbe disperatamente il suo ultimo periodo d’esistenza, in questo mondo.
Chiunque si trovasse in stato d’avanzata età avendo nei suoi pensieri la fine della speranza di vita non vivrebbe una buona qualità di vita essendo sempre di più demotivato man mano che il tempo della morte s’avvicina.
Questo varrebbe anche per tutti coloro che venissero a trovarsi in condizioni di salute precaria o grave causata da malattie o incidenti. Ecco perché la mente umana, in base alla sua intelligenza, riflettendo secondo logica su ciò che è bene o male, sul proprio stato d’animo, riscontrerebbe che è indubbiamente preferibile dare alla speranza un cammino e una meta alla vita che va oltre la morte.
Credere che la vita vada oltre la morte, è dare vigore e fiducia alla speranza che si può ritrovare una vita nuova e possibilmente migliore.
Stabilendo questo ci troveremmo immancabilmente a rivalutare e dare priorità alla fede nell’esistenza di Dio e ancor di più di un Dio buono che ci accoglie a vivere nel suo Regno per farci godere tutti i piaceri della vera felicità insieme a tutte le persone che ci amano e che amiamo.
Partendo dal principio per cui tutto ciò che può essere dolore, privazione, sofferenza in questa vita si vedrebbe annullato dopo la morte anche la morte stessa, la quale è la cosa che ci angoscia di più, diventerebbe speranza di rinnovamento e miglioramento della vita di ogni uomo.
Questo per me è il significato e il valore della speranza immensa, infinita e immortale che, insieme alla fede e alla carità, secondo me sono attinenti al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo nella seguente classificazione:
Fede = Padre = Creazione = Dio
Speranza = Figlio = Umanità = Gesù
Carità = Anima = Amore – Perdono = Spirito Santo.
Tutte queste mie riflessioni hanno fatto in modo che in me si radicasse la viva speranza, dandomi la forza di riuscire a trovare lo stato d’animo giusto per stare in pace con me stesso, con gli altri e in grazia di Dio in questo mio ultimo momento di gran sofferenza.
La paura, la sofferenza, l’ansia sono parte di un cammino che porta alla fiducia, alla speranza, alla Fede, e chi si sente perduto può ritrovare la strada.
"RISVEGLIARSI UN GIORNO" di Dario Scarpo - 18/09/1985
I primi aliti di vento
scuotono dal torpore i miei pensieri
lasciando al sole spiccioli di consumata estate.
I miei pensieri tristezza ed allegria
una m'è compagna l'altra è andata via
io memoria, tu ricordo
passaggio profondo fra sogno e realtà
il tempo e lo spazio segnano l'eterno
mentre io rubo al cielo scampoli di luce
e la speranza, prima di lasciarmi andare.
D.S.
"IL BARATRO" di Sergio Messere
E svegliarmi un giorno
ancora,
e sentirmi
non vecchio
non debole
né infelice
ma
un trillo sommesso
nello spazio curvo
dell'anima.
S.M.
Antonia Anna Pinna - 3 Settembre 2017 - Cultura Popolare, Racconti
Guglielmo “il ciabattino”, aveva una piccola bottega alla Porticella, rione di Villalago, una botteguccia senza finestre ma con la porta a vetri e, da fuori, si vedeva lui, con un grembiule di pelle, seduto al centro, e il suo banchetto ingombro di tutti gli attrezzi e le forme di scarpa e un piccolo lampadario che gli arrivava giusto sopra gli occhi. Era piuttosto buia, con le pareti scure, ma lui sembrava un Re intento a governare le sue creature. Le teneva tutte in fila per ordine di lavorazione.
Le scarpe erano un bene prezioso e bisognava tenersele da conto; oltre alla manutenzione straordinaria, alla quale provvedeva egregiamente Guglielmo, c’era quella più spicciola da fare in casa e tutti sapevano lucidare e lustrare le proprie calzature per farle durare il più a lungo possibile e, magari, passarle anche a qualche fratello o sorella. Buttare un paio di scarpe significava che erano veramente distrutte. Io ricordo le mie scarpette bianche che mia madre teneva sempre senza macchie con una specie di bianchetto e quando me le metteva mi raccomandava di stare attenta a non togliere lo smalto.
Guglielmo era un uomo burbero, ma amava moltissimo sua moglie tanto che sembravano eterni fidanzati. Velia era molto bella anche da anziana e lui la chiamava Veliabella. A volte era scontroso anche con lei ma la moglie aveva sempre il sorriso sulle labbra. Guglielmo aveva una vera avversione per alcune famiglie che secondo lui avevano i piedi storti o camminavano così male, che più che rovinare, distruggevano. I ragazzi della Porticella sapevano bene di chi si trattasse così che, quando vedevano queste persone andare alla sua bottega, interrompevano quello che stavano facendo per prestare attenzione a ciò che di li a poco sarebbe avvenuto: la scena era pressappoco sempre la stessa: dopo aver tirato fuori dalla borsa un paio di scarpe tutte rotte e storte che dovevano essere riparate, Guglielmo se le rigirava tra le mani guardandole in cagnesco; ai proprietari delle suddette diceva che lui “riparava le scarpe, ma ancora non faceva i miracoli” dopo di che dava una data per il ritiro e, non appena queste persone uscivano dalla bottega, si vedevano volare e violentemente ricadere le loro scarpe in mezzo alla strada, di fronte alla bottega!!!
La sera, gli uomini si fermavano volentieri per un saluto e due chiacchiere; oppure per riprendere fiato, vista la posizione intermedia tra la piazza e il colle che si articolava su una scalinata abbastanza impegnativa. Noi ragazzi non eravamo ammessi a questi cenacoli ma sbirciavamo da fuori per carpire i loro discorsi mentre si sbracciavano immersi in una nuvola di fumo che rendeva l’atmosfera ancora più intrigante. Guglielmo non lasciava mai il lavoro indietro, seguiva i discorsi accennando di si o di no con la testa; spesso tenendo i chiodini tra le labbra mentre faceva le sue riparazioni. Il lavoro era sempre tanto e lui cercava di stare dietro a tutti ma aveva il suo bel daffare.
Durante il periodo delle elezioni la sua bottega diventava una specie di covo. Naturalmente si formavano i gruppi di appartenenza ai partiti e poi uscivano le storielle per punzecchiare gli avversari. Si arrabbiavano, strillavano ma poi si facevano anche tante risate e noi morivamo dalla voglia di sapere cosa dicessero. La battuta che Guglielmo faceva sempre era << Villalago è come Odeon “ tutto fa spettacolo”>> . Noi del Colle una scappata alla Porticella in certe ore del pomeriggio la facevamo sempre, per vedere chi entrava o usciva e alimentare anche noi le leggende paesane nei nostri piccoli pettegolezzi.
Ora abbiamo tante scarpe e si fa sempre il conto che non vale la pena farle riparare perché il prezzo non vale la candela. Ogni epoca ha i suoi mestieri; ma i personaggi legati alle storie di vita non si possono cancellare e noi dobbiamo conservarne la memoria e cercare di tramandarla ai nostri figli e nipoti. Antonia Anna Pinna
[1] Antonia Anna Pinna, Abruzzese di Villalago (AQ), lavora in Banca d’Italia. Ama la scrittura e, in particolare, la poesia che nasce dal suo profondo amore per ogni forma di vita, dal suo essere donna, madre e moglie.
Editing: Enzo
C. Delli Quadri
Copyright: Altosannio Magazine
"LA STRADA" - 2000
Quest'opera mi piace particolarmente, perchè trasmette una forte suggestione da indurre alla ricerca di quel filo conduttore che permette di capire quello che intende raccontare l'autore. Racconto di non facile lettura, perchè trattasi del vissuto dell'autore stesso, ma che coinvolge molto. Complimenti.
Maurizio Bollo - pittore, 19/10/2013
"LA CROCE GLORIOSA" - 2014
Carissimo, grazie di avermi fatto vedere il quadro della Croce gloriosa; è la sintesi della nostra salvezza. L'immagine è espressiva, fa sintesi del mistero della Croce, rivela la Risurrezione, esprime la luce dello Spirito, dono del Padre e del Risorto alla sua Chiesa, è canto di Amore.
+ Mons. Luigi Marrucci - Vescovo della diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, 20/09/2014
Il testo inserito nell'immagine è tratto da "L'inno alla Croce Gloriosa" di Ippolito Romano, II secolo d.C. (Il bozzetto del quadro nasce nell'anno 1989 poi tutto si è fermato; troverà la sua definitiva realizzazione. 25 anni dopo, nel 2014). Pietro Tavani
LA CROCE GLORIOSA
La croce gloriosa
del Signore risorto,
è l'albero della mia salvezza.
Di esso mi nutro,
di esso mi diletto,
nelle sue radice cresco,
nei suoi rami mi distendo.
Albero di vita eterna,
pilastro dell'universo,
ossatura della terra,
la sua cima tocca il cielo
e nelle sue braccia aperte
brilla l'Amore di Dio.
Ippolito Romano - II sec. d.C.
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21 Aprile 2013: IV PASQUA ANNO C: At 13,14.43-52; Ap 7,9.14-17; Gv 10,27-30.
"LE OPERE, FUORI DAI RECINTI DEL SACRO" (tratto da internet)
Per cogliere il senso
di queste parole di Gesù a mio avviso è utile leggerle nel contesto in cui sono state pronunciate. Gesù camminava nel tempio nel portico di Salomone. Era un giorno di festa, anzi della festa della Dedicazione; ha da poco dichiarato di
essere il Buon Pastore e non solo delle pecore che lo conoscono, ma di altre che non vengono dal suo recinto, ma che deve ugualmente guidare. È certo che «Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Ma i giudei
non sopportano questo linguaggio figurato, incalzano Gesù, vogliono che si comprometta per poterlo accusare di essere indemoniato o, almeno, di essere un sedizioso. Sei tu il Cristo, dillo a noi apertamente. Gesù risponde loro «Ve
l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete, perché non fate parte del mio gregge».
In questo contesto Gesù proclama solennemente: Io e
il Padre siamo una cosa sola.
Non c’è da meravigliarsi se i presenti raccogliessero pietre per lapidarlo e pochi giorni lo consegnassero a Pilato per farlo crocifiggere.
Con le sue parole Gesù ha segnato i confini del suo recinto,
che resta aperto a tutti quelli che accettano di non considerarlo solo un taumaturgo, ma riconoscono che le sue opere sono un segno della sua vera natura di Figlio che è una cosa sola col Padre.
I Giudei avevano ben inteso la drammatica portata
di questo confine e lo rifiutarono.
Nei secoli successivi i teologi di ogni orientamento cercheranno, invece, di rendere accettabile questa parola anche a chi non si fa pecora per seguire il Buon Pastore riempiendo chilometri di scaffali dei loro testi.
Hanno cercato di razionalizzare una Verità che solo un atto di Fede consente di porre a fondamento di una vita fatta solo di Amore, a senso unico, e di Speranza, resistente ad ogni disperazione.
Hanno costruito un immaginario collettivo
fatto di dogmi sostenuti da profonde elaborazioni teologiche, utilizzando, per penetrare il mistero infinito del divino, la ragione umana, distogliendola dal suo compito “naturale” di continuare e sviluppare l’opera della creazione, costruendo
miti e discettando del soprannaturale.
Non sono mancate però le pecore che hanno seguito il mandato del Pastore impegnandosi a costruire una società fondata sull’amore, imitando o associandosi ad altri impegnati a costruirla giusta
e solidale, sedotti magari dal suo messaggio, ma respinti dall’immagine che di lui hanno diffuso e diffondono quanti se ne proclamavano e proclamano custodi dopo averlo sclerotizzato in verità assolute e valori irrinunciabili.
Ma il buon
Pastore non abbandona le sue pecore, le va a cercare non solo per strapparle al peccato, come vuole la tradizione, ma per richiamarle a ritrovare l’autenticità della loro missione che li vuole testimoni poveri.
Si è molto parlato
in questi giorni di Chiesa povera, dei poveri, per i poveri, entusiasmandosi per i gesti e le parole di papa Francesco. Pochi, mi pare, hanno rilevato la povertà delle sue parole prive dell’autorevolezza propria di quelle solennemente proclamate
come “vere”.
La prassi rende credibili le parole, ci ricorda Gesù, che alle sue opere, compiute nel nome del Padre, affida l’onere della prova di quello che afferma di fronte ai giudei increduli e diffidenti.
Ancor più
oggi che le immagini tele-trasmesse stanno progressivamente diventando lo strumento di comunicazione principe nella società globalizzata, le opere ispirate all’amore del prossimo sono l’unica convincente testimonianza della fede in un Gesù
che è storico perché si è fatto Storia e non perché le narrazioni, che ce ne hanno tramandato la vita e gli insegnamenti, sono affidati a fonti scientificamente inoppugnabili.
Gesù, infatti, ha accettato di farsi Storia
attraverso le opere di quelle/i che credono in lui e la vita della Comunità/Chiesa che essi hanno costruito e continuano a costruire nel tempo per garantire il perpetuarsi della sua presenza.
A questa loro opera Gesù ha garantito, a sua
volta, assistenza fino alla fine dei tempi.
Anonimo
"L'INFINITO" di Luciana Luciani
Nell'arco di una scia luminosa
dove il tempo s'annulla sovente,
e dove si disperde ogni frase famosa
per naufragare, perduta, nel niente.
Non v'è mai un momento
in cui non riesco a non pensare
all'infinito, che pur impalpabile sento
nel mio incompleto sognare.
Una linea perduta nel tempo
lunga, infinita, indefinita,
un enorme e vastissimo campo
in cui io, da sempre, mi sento smarrita.
Le piante, la terra, il vento
le stagioni, gli animali, la gente
spariscono in un solo momento
nell'eterno caos travolgente.
E tu rimani, così immoto
a guardare, sperduto, l'infinito
sentendoti preso nell'eterno moto
di un monotono abituale mito.
Mi affascina e mi travolge
la sua linea vasta e senza fine
vorrei vedere al di là dove si svolge
un mondo senza le solite scene.
Attonita di fronte all'immensità
dove nessuna mente umana può accedere
in cui annega la dura realtà
dove niente di brutto può succedere.
Al di fuori del mio Io
sul piedistallo dei miei reconditi desideri
riesco a pensare con forza a Dio
e dimenticare le brutture di ieri.
L.L.
"IN UN GIORNO D'OTTOBRE" di Geremia Cianchi
Ottobrata romana come primavera,
risvegli i cuori ai giovani e bambini,
dai gioia ai vecchi, nonni e ragazzini.
Il cielo è limpido e pulito,
come nei giorni di quel solleone,
che già trascorse da due mesi almeno.
Ci porti fuori porta sopra i prati,
ci fai ricordare i giorni più felici,
quelli del mare e dei monti già passati.
Ci s'incontra in un viale a passeggiare,
ci ritornano alla mente dei ricordi,
della giovane età e dell'amore.
G.C.
Ultimi commenti
08.02 | 05:54
Sarò di parte ma anche solo gli studi sono fantastiche opere d'arte
🥰
29.01 | 11:36
Grande, sempre Grande!!!
23.01 | 20:15
Grazie, se avessi altre foto di papà li potrei aggiungere alla sua pagina. Un abbraccio.
23.01 | 18:04
Ciao Pietro, grazie che tieni sempre vivo il ricordo di mio padre come artista. Un caro abbraccio. Stefania